La disfunzione osteopatica è definita come l’alterata mobilità di una struttura anatomica.
La disfunzione, soprattutto se cronica innesca dei meccanismi a cascata che nel tempo portano a danni collaterali. In pratica una disfunzione osteopatica genera delle alterazioni funzionali, biomeccaniche e metaboliche locali e nel tempo ha effetti a distanza con disfunzioni secondarie, adattamenti e compensi. Si vengono a creare tre condizioni:
A le alterazioni metaboliche e funzionali locali portano effetti negativi sul tessuto in prossimità della disfunzione come scarso apporto di sangue e ossigeno, stasi di fluidi, ipomobilità e rigidità, fino alla fibrosi e alterazioni anatomiche.
B possono comparire disfunzioni osteopatiche secondarie a distanza come conseguenza della disfunzione primaria.
C Gli schemi motori fisiologici e la postura, si modificano e si adattano, per ricercare un nuovo equilibrio funzionale che permette all’apparato locomotore di muoversi nel modo migliore possibile. Si vengono a creare un nuovo assetto posturale e nuovi schemi motori che però rappresentano una condizione non fisiologica che comporta una spesa energetica aggiuntiva
per il corpo.
Quando i meccanismi di compenso falliscono e i motivi possono essere molteplici, ecco che compare un sintomo, magari in una sede anatomica distante della disfunzione osteopatica primaria.
Dunque trattare la sede del sintomo non sarà sufficiente come non lo sarà trattare solo la disfunzione osteopatica primaria. È sempre necessario analizzare e correggere gli schemi motori, i muscoli deboli e l’alterata funzione motoria. L’obiettivo del trattamento è la risoluzione della sintomatologia associata al recupero della migliore capacità funzionale possibile.